Il mio lockdown senza ritorno a scuola e gli “esami a distanza”

Il mio lockdown senza ritorno a scuola e gli “esami a distanza”

Addio alla cerimonia della valigia e del cestino e saluti virtuali a compagni e professori.

Prima del quattro marzo di quest’anno nessuno di noi avrebbe mai immaginato che saremmo stati chiusi in casa per ben tre mesi e che la nostra vita sarebbe cambiata in modo così radicale.

Questi mesi sono coincisi con l’ultima parte di un percorso durato tre anni e che non pensavo sarebbe finito in questo modo. Mi aspettavano infatti gli esami di terza media, tappa conclusiva di un ciclo di studi durato un triennio, come avevano iniziato a dirci fin da settembre i professori per responsabilizzare una classe di adolescenti.   

In questo periodo ho riflettuto su quanto sia importante l’amicizia perché essere soli, soprattutto in un periodo così particolare, sarebbe difficile e triste.

In questi tre mesi avremmo dovuto fare molte cose che aspettavamo da anni, ma che in poco tempo abbiamo visto venirci impedite.

I programmi per la gita a Torino, il ballo di fine anno, l’esame finale e anche i saluti ai professori e ai compagni sono andati in fumo da un giorno all’altro.

Prima dell’arrivo del virus eravamo in classe, a una distanza che si poteva misurare in centimetri, ora seguiamo le stesse lezioni che abbiamo fatto per tre anni, ma la distanza va misurata in chilometri.

Il massimo contatto che abbiamo avuto per questi mesi è stato attraverso un video, un mezzo che ha ridotto le relazioni tra persone che hanno condiviso un lungo periodo in uno stesso luogo.

Mi sono mancate molte cose, dalla programmazione dei posti prima delle verifiche, al nascondersi dietro al muro per controllare l’arrivo del professore.

Non credevo che mi sarebbe mancata la professoressa che, sfinita dal nostro chiacchiericcio anche durante i compiti in classe, ci sgridava ripetutamente o ci ritirava i compiti.

Mi mancano anche i compagni che chiedevano un po’ della merenda durante la ricreazione, le partite di pallavolo, i tornei di ping pong, il suono della campanella e la polvere del gesso.

Dopo questo periodo di isolamento le urla delle collaboratrici che ci sgridavano perché non rispettavamo gli orari per andare al bagno sembrano essere quasi un ricordo piacevole.

Con le lezioni virtuali non è più possibile chiacchierare durante le ore, cosa che ci faceva trascorrere più velocemente il tempo a scuola.

Mi manca molto anche il conto alla rovescia prima del suono della campanella e l’esultanza di chi indovinava il momento esatto in cui sarebbe suonata.

Quest’anno non ci dedicheremo a una tradizione dell’ultimo giorno di scuola: il “gioco della valigia e del cestino”; quest’anno questo appuntamento avrebbe avuto un valore ancora più grande, perché ci avrebbe fatto descrivere cosa avremmo portato dietro e cosa avremmo gettato via di un “viaggio” durato tre anni.

Sorrido ancora, pensando alla reazione dei professori quando gli chiedevamo se avessero corretto il compito in classe quando erano appena passati due giorni dalla data in cui lo avevamo fatto.

Penso spesso a quando il professore si arrabbiava al punto da farci fare una verifica gli ultimi venti minuti della lezione e noi che, invece di sbrigarci, perdevamo i primi cinque per protestare, salvo poi dover correre per cercare di finire indenni o per cercare di ricevere suggerimenti “illuminanti”.

Mi dispiace persino il non aver fatto gli scritti, perché sento che la mia esperienza alle medie sia incompleta, perché privata di quella che era la conclusione che mi aspettavo e alla quale all’inizio dell’anno i professori avevano iniziato a prepararci. Da un momento all’altro ci siamo trovati di fronte alla DaD (acronimo, ormai noto, di didattica a distanza) con professori e compagni, presenza concreta e costante nel corso della settimana, filtrati attraverso uno schermo.  

Nonostante i limiti però non credo che l’esperienza della didattica a distanza sia completamente da “mettere nel cestino”, perché abbiamo imparato ad utilizzare un nuovo strumento, che ci potrebbe tornare utile in futuro; inoltre abbiamo scoperto un nuovo modo di “fare scuola” e abbiamo contribuito a evitare di aumentare il numero di contagi.

Consentitemi però di dire che, nonostante l’utilità della didattica a distanza che in questo periodo è stata strumento necessario per consentirci di portare avanti la nostra “istruzione”, non vedo l’ora (e penso che la maggior parte di voi condivida questa opinione), appena i dati del contagio lo permetteranno, di tornare fisicamente a scuola, per proseguire la nostra tradizionale “vita scolastica” che, nel mio caso mi porterà a salutare la mia cara “Settembrini” per intraprendere un nuovo percorso scolastico.

Lorenzo Pagano

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